“il mio corpo è anche il corpo della parola”
Nel mondo dell’arte, esplorare il coraggio e la determinazione delle artiste femminili spesso significa scrutare oltre gli pseudonimi che hanno dovuto adottare per emergere. Un esempio straordinario è Tomaso Binga, dietro il quale si cela la poetessa e artista italiana Bianca Pucciarelli Menna, esponente di spicco della poesia fonetico-sonora-performativa italiana. Attraverso il suo pseudonimo maschile, Binga diventa una voce audace e una bandiera della lotta contro le barriere di genere nell’arte contemporanea.
Lo pseudonimo androgino:
Nel corso degli anni ’70, un’epoca in cui le donne nell’arte affrontavano discriminazioni sistematiche, Tomaso Binga emerge come una ribelle culturale. La scelta di uno pseudonimo androgino diventa un atto di sfida contro la convenzione che relegava le artiste al margine. Binga abbraccia l’ambiguità di genere, usando il suo nome come strumento di protesta e libertà espressiva.
L’Opera di Binga
Oltre al suo pseudonimo, l’arte di Tomaso Binga parla di una creatività fuori dagli schemi. Attraverso poesie visive, performance e installazioni, Binga esplora tematiche legate al corpo, al linguaggio e al potere di genere. La sua opera è un richiamo alla libertà di espressione e un invito a sfidare le norme preconcette. Dopo le prime esperienze di scrittura desemantizzata, ha proposto sagome del suo corpo come lettere alfabetiche, Scrittura Vivente (1976), avvalendosi anche del mezzo fotografico. Nel ’78 è approdata alla Biennale di Venezia con iI Dattilocodice di cui alcuni esemplari sono stati esposti alla Biennale di Venezia, nella mostra Il latte dei sogni, curata da Cecilia Alemani. Anche la produzione successiva, dalla fotografia alla pittura, dal digitale alla performance, è improntata sulla centralità del linguaggio.
La Giornata del Contemporaneo
Come immagine rappresentativa della Giornata del Contemporaneo di quest’anno, sabato 12 ottobre, è stata proposta l’opera Donna in gabbia (1975-2024), tratta da una sua performance del 1974 in cui l’artista, femminista e attivista per i diritti delle donne, si presentava con la testa racchiusa in una gabbia per canarini, facendosi imboccare da mani maschili: una riflessione sulla condizione di subalternità costrittiva della donna, ma, più in generale, sulle disuguaglianze che si fondano sul privilegio e sulle forme di controllo, spesso presentate come cura e protezione. La gabbia per canarini diventa così una barriera non solo fisica, ma anche metaforica, sull’inaccessibilità alla libertà come diritto inalienabile e a tutti gli strumenti e le possibilità che possono portare ognuno di noi a una condizione di maggiore consapevolezza ed emancipazione.
Un’opera manifesto: “Un Seme Vivo – Un Dolce Mestruo”
L’opera “Un seme Vivo – Un Dolce Mestruo” di Tomaso Binga rappresenta perfettamente la poetica dell’artista che mira a espandere i confini dell’espressione artistica, unendo in modo audace il visivo e il linguistico. Creata nel 1979, questa opera rappresenta un’incursione nella poetica del corpo e dell’identità, proponendo una riflessione provocatoria e stimolante.
L’opera è composta da una serie di versi visivi disposti in modo non convenzionale, sfidando la struttura tradizionale della scrittura. Binga utilizza un linguaggio grafico che incorpora elementi del corpo femminile e simbolismi legati alla femminilità, come il ciclo mestruale. Il titolo stesso, “Un Seme Vivo – Un Dolce Mestruo,” evoca immagini legate alla ciclicità della natura femminile.
Sangue e potere
Quest’opera è una dichiarazione audace contro le convenzioni culturali e sociali che spesso circondano il corpo femminile. Binga sfida gli stereotipi, celebrando la vita e la forza della femminilità attraverso una lente artistica unica. La scelta di esplorare il ciclo mestruale non solo rompe il tabù attorno a questo tema, ma sottolinea anche la bellezza e la complessità di ciò che spesso viene stigmatizzato.
https://www.madrenapoli.it/collezione/tomaso-binga/
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